Per questo titolo così eloquente devo ringraziare i colleghi Olandesi di No Bullshit Academy, padri di questo slogan, fonte di una gigantesca ispirazione.

Perché “bullshit” (letteralmente cacca di toro; una stretta assonanza con il letame) in realtà tradotto in italiano pare proprio significare strozzate, cazzate e da qui, il raffinato doppio senso…  Certamente un termine forte che però da proprio l’idea delle cose in cui ci sentiamo spesso sprofondare, nella vita e nel lavoro.

Nascono spontanee domande e relative riflessioni. Quanto “letame” sono disposto a farmi buttare addosso dagli altri? Come posso fare la scelta giusta? Sono in grado di esprimere la mia verità? Sono consapevole dei modelli e delle abitudini che mi bloccano?  Sono in grado di essere onesto con me stesso? Posso agire senza accampare scuse assumendomi a pieno la responsabilità della mia vita e del mio lavoro? Come posso togliermi la negatività e il “letame” di dosso? Come posso trasformare il letame in fertilizzante?

I topolini nella panna

E’ evidente che l’unico modo per non essere sopraffatti dal “letame” è trasformarlo in qualcosa che sia utile al raggiungimento dei nostri obiettivi e per farlo abbiamo bisogno di concederci il tempo di affrontare le diverse fasi: la raccolta, la maturazione e la trasformazione che corrispondono metaforicamente a: consapevolezza, assunzione di responsabilità e creazione di azioni per il cambiamento.

“Due topolini caddero in un secchio pieno di panna; il primo topolino si arrese subito e annegò, il secondo topolino non voleva mollare si sforzò a tal punto che alla fine trasformò quella panna in burro, e riuscì a saltar fuori; signori da questo momento io sono quel secondo topolino.” dal film Prova a prendermi

Insomma che si tratti di panna o “letame” l’unico modo di uscirne vivi e non arrendersi allo stato di fatto delle situazioni.

Mi capita spesso nel mio lavoro di coaching e in particolare nella formazione aziendale, che le persone vivano con enorme frustrazione la scoperta di cosa non funziona nella loro vita; vedere con i propri occhi, attraverso la relazione con il cavallo, una fotografia di se stessi che è meno lusinghiera di quanto immaginavano. Accorgersi di essere in quel secchio pieno di panna inizialmente destabilizza e spaventa.

“Arriva un momento in cui ti guardi allo specchio e ti rendi conto che quello che vedi è tutto quello che sarai, e poi lo accetti o ti ammazzi, o smetti di guardarti allo specchio.” Tennessee Williams

Sembrerebbe che avere delle ombre, pensieri o emozioni negative sia intollerabile per la maggior parte di noi e questo può dipendere, come dice Russ Harris nel suo libro “La trappola della felicità“, da un concetto di felicità poco realistico.

Ciò che più dovrebbe essere importante invece, per vivere una vita soddisfacente è il “ridimensionamento” dei nostri pensieri, per arrivare ad una piena accettazione della nostra esperienza, positiva o negativa che sia. Non è quello che viviamo che conta, in buona sostanza, ma come reagiamo a ciò che ci accade.

La consapevolezza e l’assunzione di responsabilità

La definizione che mi piace di più della parola con-sa-pe-vo-léz-za (cognizione, presa di coscienza derivato di consapere, composto di con e sapere.) è quella che la racconta come un fenomeno estremamente intimo, e di importanza cardinale. Non è un superficiale essere informati, né un semplice sapere – e si diparte anche dalla conoscenza, più intellettuale. La consapevolezza è una condizione in cui la cognizione di qualcosa si fa interiore, profonda, perfettamente armonizzata col resto della persona, in un uno coerente. È quel tipo di sapere che dà forma all’etica, alla condotta di vita, alla disciplina, rendendole autentiche.

La possibilità di ascoltare noi stessi ed acquisire maggiore consapevolezza in merito ai nostri processi mentali ci permette quindi di sentirci protagonisti della nostra vita e aumenta la nostra motivazione a lavorare per perseguire un maggiore benessere. 

Guardarci intorno con un atteggiamento critico e riconoscere da quanto “letame” siamo circondati; quali siano le nostre sovrastrutture, le nostre credenze auto-limitanti, le nostre maschere; quali siano le nostre responsabilità nella creazione di tutte le “cazzate” di cui ci sentiamo vittime ci permetterebbe di accettare quello che ci accade, anche se sono “stronzate”.

“Accettare non significa tollerare o rassegnarti a qualunque cosa. Accettare vuol dire abbracciare la vita, non soltanto sopportarla. Accettare significa letteralmente <<prendi ciò che viene offerto>>. Non significa rinuncia o ammetti la sconfitta, né stringi i denti e subisci. Significa aprirti completamente alla tua realtà presente: riconosci com’è, esattamente qui e ora, e rinuncia a combatterla per com’è in questo momento. (…) Il modo più efficace per realizzare dei cambiamenti nella tua vita è iniziare ad accettarla completamente.” Russ Herris La trappola della felicità

Le azioni per il cambiamento

Mi  viene in mente una ricerca della psicologa, ricercatrice e autrice di best seller del New York Times Tasha Eurich, che ben si collega a questo tema e che spiega come la consapevolezza può determinare felicità o infelicità in base a come ci si pone rispetto ad essa.  

Tasha spiega l’importanza della consapevolezza correlata alla ricerca di senso e ai significati personali. Non puoi essere felice se ti chiedi banalmente il “perché” delle cose invece che domandarti il “cosa”. Cosa ti ha fatto male, cosa puoi cambiare, cosa è importante per te in quel contesto… Il cosa implica coinvolgimento e azione, il cosa è pro-attività.

Immagino che il topolino affogato nella panna si sia chiesto:<< Perché sono caduto? Perché proprio a me? Perché non ho le ali?>> e via dicendo. Mentre il secondo topolino si sarà domandato: <<Cosa solidifica la panna? Cosa posso fare io per cambiare le cose? >>

Cambiare i perché in cosa ci pone in una prospettiva completamente diversa, ci aiuta ad entrare in una dimensione dell’agire che è già di per sé cambiamento.

Non siamo e non possiamo restare passivi e impotenti rispetto agli eventi della vita ma abbiamo il potere (e direi anche il dovere) di fare qualcosa per diventare le persone che vogliamo essere. E se i nostri pensieri e stati d’animo ci ostacolano in questo processo abbiamo il potere di porci in relazione ad essi in maniera più funzionale per farceli amici.

“Ieri sono stato intelligente, quindi volevo cambiare il mondo. Oggi sono saggio, quindi mi sto cambiando.” Rumi