“L’accelerazione è diventata l’imperativo che domina non solo l’innovazione tecnologica, ma anche i gesti della vita di ogni giorno, in una guerra perenne contro le limitazioni di spazio e tempo”.
Quanti di voi pensano che “non fare” equivale più o meno a non vivere? Quanti hanno le giornate e le settimane dense di appuntamenti, impegni, attività? Quanti per caso provano un vago senso di colpa a rallentare?
Dal Dpcm dell’ 11 Marzo, acronimo con il quale tutti abbiamo ormai una certa dimestichezza, le cose sono sostanzialmente cambiate: #iorestoacasa è lo slogan di questi giorni; l’obbligo civile di chi ha la responsabilità di salvaguardare la propria salute e quella degli altri.
Siamo stati presi tutti alla sprovvista ma adesso dobbiamo fare leva sulla nostra capacità di adattamento per trovare un nuovo temporaneo stile di vita.
Dobbiamo ridurre al minimo le nostre azioni e i nostri sforzi, dobbiamo imparare a rallentare il tempo, rinunciare alle cose che ci facevano piacere, riappropriarci delle giornate e di una routine che non è più la nostra.
La prima cosa di cui io mi sono dovuta, mio malgrado, accorgere, è che moltissime delle azioni e delle attività che svolgo ogni giorno non costituiscono “stato di necessità” (che per altro è uno dei 3 motivi per cui si può uscire di casa). Questo è certamente un privilegio, è ricchezza, abbondanza. E’ una bella botta di consapevolezza; quasi uno schiaffo di quelli che fanno girare la testa.
Proprio a partire da questa consapevolezza, nonostante siano passati tre giorni dal blocco totale, io sono ancora alla ricerca di un sano equilibrio che mi permetta di dare un senso a questo sconosciuto “qui e ora”, in modo che questi giorni non mi sembrino persi o addirittura sprecati.
Le reazioni alla minaccia: lotta, fuga o congelamento
Ma partiamo dal principio di questa storia. Mi è dispiaciuto vedere che molte persone siano corse a prendere il treno, quando il decreto di chiusura della Lombardia non era ancora stato firmato, però è stata una naturale risposta fisiologica di fronte al pericolo.
Chi vive in mezzo ai cavalli sa riconoscere una reazione da fuga alla paura. Quando i cavalli si spaventano per qualcosa che non conoscono e verso cui non hanno imparato a gestire, con equilibrio, i propri stati emotivi, fuggono repentinamente e all’unisono.
Qualcuno avrà certamente da obiettare che noi siamo persone e abbiamo un cervello pensante, un apprendimento di tipo cognitivo, che non siamo animali ecc.. Ma quello che mi sembra davvero chiaro è che di fronte alla paura, una paura grande, il nostro cervello può davvero reagire in modo inaspettato e molto simile a quello dei cavalli.
Se ci aggiungiamo poi che anche noi siamo una specie sociale, è naturale comprendere perché chi è fuggito, lo ha fatto, nella maggior parte dei casi, per riunirsi alla propria “banda familiare” (branco).
Ecco come funzioniamo. La zona di comfort è tutto ciò che è conosciuto; di conseguenza sappiamo come muoverci, come comportarci e questo ci da una bella sensazione di sicurezza.
Se invece usciamo fuori dalla nostra zona di comfort ed entriamo in una zona sconosciuta, siamo costretti ad affrontare situazioni nuove, nelle quali non è ancora chiaro come dobbiamo comportarci; a questo punto siamo costretti ad improvvisare, a mettere in discussione le nostre certezze, a mettere a frutto le nostre risorse, a pensare in modo creativo, a oltrepassare i limiti. E come sempre, quando ci mettiamo in gioco per trovare soluzioni nuove, prendiamo delle decisioni e facciamo delle azioni, dai cui risultati, impariamo. Questa zona si chiama di stress funzionale o adattivo (cioè funzionale alla sopravvivenza dell’individuo) ed è la zona definita di Apprendimento.
Il grado di difficoltà e le emozioni che proviamo nello spostarci dalla zona di Comfort a quella di Apprendimento dipendono dalla quantità di novità che siamo costretto ad affrontare. Forse vi stupirà ma anche per i cavalli è così; la loro, come la nostra capacità di gestire le novità, dipende da quanto e come sono stati abituarti ad affrontarle (e su questo si potrebbe scrivere un articolo a parte)
Cosa succede quando siamo esposti a troppe informazioni contemporaneamente (e il cervello non è in grado di elaborarle), oppure quando l’intensità delle emozioni negative che stiamo provando è troppo intenso? Si attiva l’ istinto di sopravvivenza: fuggire, combattere o immobilizzarsi.
Diversi studi etologici hanno mostrato che nei mammiferi la scelta della strategia è fortemente influenzata dalla distanza del pericolo.
Parliamoci chiaro, il predatore in questione è un essere piccolissimo e sconosciuto che può provocare la morte e, lo abbiamo sentito in tutti i telegiornali, contro il quale al momento, non abbiamo armi, se non una: l’isolamento.
La sospensione del futuro
Ed eccoci arrivati a oggi: tempo presente. Questo presente è un tempo senza risposte, di dubbi e di perplessità, di tentativi ed esplorazioni; è un tempo in cui il panico lascia lo spazio alla consapevolezza, e ci chiude immediatamente fuori dalla nostra frenetica zona di comfort, nel non fare.
“Il non fare è fecondo più del fare. È un dono questo tempo vuoto” Mariangela Gualtieri
I cavalli sono dei bravissimi maestri in questo: sanno stare molto tempo in un apparente non fare, sanno sentirsi vicini pur non toccandosi, sanno stare dentro se stessi senza criticarsi e senza doversi perdonare qualcosa, sanno concepirsi un organismo unico con gli altri perché da questo dipende la loro vita.
Hic et Nunc dicevano i latini, qui e ora: nel suo uso comune indica un adempimento, una questione la cui risoluzione non ammette proroghe; un impegno che, nella sua attuazione, non può essere rinviato per alcun motivo. Mi sembra un concetto calzante rispetto alla quarantena.
Così anche io da questo isolamento che non ammette proroghe mi domando che significato ha per me questo “Qui” che sa di uno spazio fisico; di un luogo dove trovare riparo dalle fatiche e dalle preoccupazioni del presente, un luogo dove può realizzarsi una chiusura protettiva, in grado di confortare e consolare.
Il mio “Qui” ai giorni del corona virus è la mia casa, è la convivialità intima e ritrovata con le persone che amo ma è anche uno spazio interiore di riflessione, pensieri e dialogo con me stessa; è un luogo di disintossicazione dall’adrenalina cercata e imposta.
In questo “Qui” non si può che vivere l’Ora, adesso, il tempo presente, sospesi dall’obbligo di essere proiettati nel futuro.
Nel mio “Ora” si fanno torte, si disegna, si scrive e tutto senza fretta. Si ritrova lo sguardo di una amica in videochiamata, ci si annoia e in questa noia si sviluppa la creatività. In qualche modo, anche in questo caso, si tratta di valorizzare al meglio l’istante, di vivere pienamente il presente avendo cura dell’essenziale, godendo pienamente ogni goccia di superfluo come un beneficio.
“Benedetti siano gli istanti, e i millimetri,
e le ombre delle piccole cose,
ancora più umili delle cose stesse!
Gli istanti…
I millimetri:
quale impressione di meraviglia e di coraggio
mi provoca la loro esistenza,
gli uni accanto agli altri così ravvicinati in un metro.
A volte soffro e godo per queste cose.
E ne sono goffamente orgoglioso.”
Fernando Pessoa
Chissà che non impareremo a portarci un po’ di questo vuoto da cavalli anche nella vita di poi, quando l’emergenza sarà finita. E che questa introspezione, questa lentezza, questa pacifica calma senza tempo, questa intimità, questa creatività, questa umanità riscoperta non possano diventare uno spazio dentro di noi, una risorsa a cui poter attingere nel momento del bisogno, per combattere la frenesia.