Spesso le questioni più spinose a casa mia si discutono a tavola. Non vi nascondo che siamo una banda piuttosto rumorosa e che le nostre cene sono allegramente vivacizzate dall’accavallarsi delle questioni, che quotidianamente, i nostri figli ci sottopongono. Non so se vi è mai capitato di mangiare con quattro adolescenti nel pieno delle loro forze, che non hanno alcun imbarazzo a manifestare i loro pensieri e i loro punti di vista litigandosi la parola e i pezzi di pane.

Mi piace immaginarci come i membri surreali della famiglia Malaussene che l’adorato Pennac ha saputo dipingere con tanta maestria.

Strappando ai pronostici contrari ogni parola, abbraccio, pranzo, cena, colazione, vacanza e festa di compleanno, questa allegra famiglia allargata è stata una conquista a volte anche dolorosa,. Settimana dopo settimana, anno dopo anno, adesso è la mia più grande fonte di ispirazione.

Spesso stare insieme ci è costato molta fatica. Abbiamo dovuto trovare la quadratura del cerchio di tutti noi 6, dal più piccolo (attualmente 11 anni) al più grande (53 appena compiuti). Abbiamo dovuto mettere insieme abitudini, modi e principi educativi differenti in un equilibrio davvero molto precario tra le  convinzioni di ognuno, domandandoci continuamente, quale fosse la corretta gestione di questo piccolo “branco” familiare.

Siamo fatti per vivere in relazione, ce lo dicono i libri, le ricerche e la natura sociale della nostra specie. Malgrado la tendenza comune a far prevalere l’io rispetto al noi, a partecipare meno alla vita sociale accontentandoci di sviluppare relazioni virtuali sui social (questo argomento merita uno spazio tutto suo); siamo fisiologicamente fatti per vivere in relazione.

Abbiamo bisogno di sentirci utili e di essere accettati, di star bene con gli altri e di sviluppare senso di appartenenza. La condivisione e il confronto con la comunità, una squadra sportiva  un movimento politico o una famiglia atipica, come nel nostro caso, ci aiutano ad accrescere le nostre competenze e ci permette di evolvere.

Il problema della competizione

I nostri figli hanno una differenza di età di 3 anni uno dall’altro e quando erano piccoli abbiamo dovuto assistere a delle vere e proprie battaglie. Il premio per chi vinceva poteva essere il pulsante dell’ascensore o il telecomando della televisione, il libro delle favole serali, il posto centrale in macchina; questioni, per loro, di vitale importanza.

Il problema delle relazioni infatti, sorge quando ci troviamo costretti a lottare per accaparrare risorse, che al momento, ci sembrano limitate: l’amore, il successo sul lavoro, una certa fama o riconoscibilità, il posto più comodo sul divano (nel nostro caso un divano 3 posti per 6 persone). Queste risorse ambite rendono il confronto, in tutte le varie tipologie di gruppi, generatore di ansie, invidie, rancori e rivalità.

La condizione relazionale e sociale, inoltre, ci spinge ad essere sottoposti costantemente all’osservazione e al giudizio degli altri; ci esponiamo continuamente, e nostro malgrado agli apprezzamenti degli altri e misuriamo spesso il nostro valore nei “like” che riceviamo e su questi costruiamo la nostra autostima.

Quello che accade è il desiderio di primeggiare in ogni campo, di sentirci adeguati e all’altezza in ogni circostanza. Essere focalizzati sulla prestazione però ci fa perdere completamente la connessione con noi stessi e con quello che realmente siamo. Essere decentrati rispetto a noi stessi ci fa immancabilmente perdere anche l’orientamento rispetto agli altri.

Centrarsi nel branco

Studiare i cavalli e il loro comportamento, cosi come leggere articoli di etologia mi ha dato degli interessanti spunti di riflessione, lasciando che il branco mi ispirasse, prima di tutto nella costruzione di questo stare insieme in famiglia e secondariamente negli esercizi da proporre nel coaching mediato dal cavallo, per dare maggiore consapevolezza sulle relazioni e la vita in gruppo (il gruppo di colleghi, la compagnia di amici, i compagni di scuola…)

La società equina si basa sulla collaborazione e le relazioni sono regolate da suddivisioni di compiti, da specializzazioni (attitudini) soggettive, da schemi di azioni concordati ove è indispensabile assumere, di volta in volta, di fronte alle situazioni che si incontrano, ruoli ben precisi e farsi carico di responsabilità nell’interesse prioritario del branco.

I cavalli si organizzano in base ai propri peculiari talenti. Lo sapevate?

Ciascun individuo si mette in gioco per il bene comune, mettendo le proprie capacità a disposizione del gruppo perché il benessere del branco garantisce la sopravvivenza di tutti.

C’è chi nasce dotato di un maggior spirito intraprendente che stimola gli altri soggetti più timidi ad osare dove da soli non avrebbero avuto sufficiente coraggio e magari in tal modo consentono di accedere a nuove risorse; c’è chi essendo più pauroso di altri collabora efficacemente alla segnalazione di potenziali aggressori“, e così via, spiega Andrea Montagnani Fondatore e Formatore nazionale della Scuola di Relazione Etica con il Cavallo.

Le debolezze di ogni elemento che compone il branco sono compensate dalle competenze di altri che vengono messe a disposizione di tutti, spontaneamente; e il ruolo del leader è solo quello di identificare i talenti di ciascuno e valorizzarli. Forse per questo,  spesso, il leader in un branco di cavalli, è la giumenta più anziana; perché la mamma, che ha cresciuto ogni membro del gruppo, conosce tutti, profondamente.

Imparare dai cavalli a coltivare i talenti

In quest’ottica la competizione non ha davvero senso perché la dove uno è abbastanza alto per schiacciare il tasto dell’ascensore o abbastanza forzuto da sollevare il fratello ci sarà un altro sufficientemente spiritoso da ottenere l’attenzione di tutti a tavola ecc…

Sarebbe davvero bello se a stare insieme lo imparassimo da loro, dai cavalli: in famiglia o sul lavoro o in qualsiasi altro contesto, a cui apparteniamo, che implichi la relazione con un gruppo, potremmo avere il privilegio di mettere il nostro talento al servizio della collettività.

Mi domando cosa accadrebbe se i manager e i leader delle aziende comprendessero l’importanza di valorizzare i talenti dei loro collaboratori e di far passare la responsabilità di mano in mano in base all’occasione o alla necessità.

E tu, hai già scoperto qual è il tuo talento? Qual è la risorsa che ti distingue e ti rende indispensabile affinché insieme a te, il tuo “branco” sia equilibrato e possa galoppare verso il successo?