Proprio questo fine settimana ho partecipato ad uno dei tanti, fra seminari e corsi di aggiornamento, che seguo per continuare ad approfondire e studiare tematiche utili per il mio lavoro.

Ovviamente quando si lavora con le persone e con i cavalli bisogna essere pronti a fronteggiare situazioni che mettono in relazione queste due specie. Conoscere i cavalli, il loro modo di esprimersi, comunicare e interagire è indispensabile affinché io possa essere un mediatore efficace tra loro e i miei clienti.

Cercherò di spiegare come uomini e cavalli condividano la zona di sviluppo prossimale; ossia l’area in cui si può osservare cosa un individuo è in grado di fare da solo e quali sono i potenziali apprendimenti possibili, nel momento in cui è sostenuto da un adulto competente.

Dall’addestramento all’educazione

Il cavallo è apparso sulla terra 55 milioni di anni fa ma i primi fenomeni di domesticazione risalgono al 3000 a.C. quindi possiamo assolutamente dire che il rapporto tra queste due specie è un legame duraturo nel tempo.

Spesso al fianco dell’uomo nel lavoro, nella guerra e nello sport, il cavallo ha subito processi di addestramento che lo rendessero abile e maggiormente predisposto ad una disciplina o all’altra.

Oggi, per fortuna si inizia a privilegiare un rapporto con questi animali,  che passa attraverso ad una più approfondita conoscenza dei loro bisogni, e ne riconosce quindi, la soggettività e l’alterità.

Grazie a questo nuovo approccio, l’addestramento cede sempre più spesso il passo all’educazione, dando importanza, non solo alla relazione uomo-cavallo, ma sopratutto alla vita in branco dove l’apprendimento è garantito anche e sopratutto dalla rete di relazioni che il cavallo instaura con i suoi co-specifici.

Come ha approfondito poi Rachele Malavasi, etologa e divulgatrice scientifica, durante il seminario sul tema del “Cavallo come animale sociale”; addestrare significa letteralmente rendere abile: quindi “mettere dentro” nozioni e conoscenze affinché uno sia capace di fare qualcosa; mentre educare significa “tirare fuori” [dal lat. educare, intens. di educĕre «trarre fuori, allevare», comp. di e-1 e ducĕre «trarre, condurre»] le potenzialità già presenti nel soggetto.

Per i cavalli come per le persone

Ogni volta che colgo una similitudine mi entusiasmo. Perché anche noi uomini, come i cavalli, per apprendere abbiamo bisogno di essere educati in modo competente, tenendo conto della nostra individualità, delle nostre emozioni, motivazioni, rappresentazioni e memoria, affinché, sia possibile costruire competenze, dalle potenzialità che già possediamo.

Questo tipo di sostegno ce lo spiega in maniera semplificata W.Timothy Gallwey.

“Quando piantiamo un seme di rosa sulla terra, notiamo che è piccolo, ma non lo critichiamo – “come senza radici e senza stelo? “. Lo trattiamo come un seme, dandogli l’acqua e il nutrimento necessari per un seme. Quando per la prima volta emerge fuori dalla terra, non lo condanniamo come immaturo e sottosviluppato; né critichiamo i boccioli per non essere aperti quando appaiono. Siamo meravigliati del processo in corso e diamo alla pianta la cura di cui ha bisogno in ogni fase del suo sviluppo. La rosa è una rosa dal momento in cui è un seme fino al momento in cui muore. Al suo interno, in ogni momento, contiene tutto il suo potenziale. Sembra essere costantemente nel processo di cambiamento; eppure in ogni stato, in ogni momento, è perfettamente a posto così com’è.”

Potere delle emozioni nell’apprendimento

Ma non è tutto. I cavalli sono in grado di provare emozioni e la scienza lo ha ormai ampiamente dimostrato. Le emozioni positive o negative, che il cavallo prova nel corso della sua vita, hanno una forte influenza sulla sua predisposizione ad apprendere e questo accade anche all’uomo.

Parlando di bambini, ad esempio,  Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo presso l’Università di Padova, ci parla spesso del rapporto tra scienze cognitive ed emozioni nell’apprendimento, in particolare nell’esperienza dell’errore, che se percepito emotivamente come fonte di dolore, sviluppa naturalmente un sentimento di paura, e di conseguenza istinto di fuga (vi ricorda qualcosa?). Per questo motivo l’apprendimento e anche l’esperienza dell’errore devono essere percepiti con gioia, con amore, come un’opportunità, per sviluppare al massimo le potenzialità di ogni singolo.

Cambiare il “Bravo” in “Grazie”

Probabilmente molti di noi, sono a turno, quell’adulto competente che ha il compito di aiutare i propri figli, collaboratori o cavalli nell’apprendimento. O più semplicemente desideriamo accompagnare noi stessi verso il raggiungimento di un obiettivo di crescita.

Cosa è possibile fare, dunque,  affinché quel potenziale possa emergere? Affinché le emozioni associate ai momenti di apprendimento siano positive?

Diceva Lao Tzu-“Ogni lungo viaggio iniziano un primo passo”. Possiamo iniziare con il modificare  il nostro linguaggio e di conseguenza i nostri gesti e la nostra attitudine nel “ex-ducere”: quando ci troviamo con la responsabilità di accompagnare un altro individuo nella sua crescita, che sia un cavallo, un bambino o un collaboratore, iniziamo col cambiare il “bravo” in “grazie”.

Perché dire “bravo” nasconde sempre una sottile manipolazione e mette un grande focus sul risultato più che sul viaggio intrapreso per apprendere ed evolversi.

<Grazie per averci provato, grazie per esserti impegnato a raggiungere questo obiettivo, grazie per avermi seguito, grazie per esserti messo a disposizione, grazie per aver condiviso la tua idea, grazie per aver suggerito un altra cosa o un altro modo, grazie per aver comunicato, grazie per avermi dato accesso alle tue emozioni, grazie di esser qui a crescere insieme…>